L'istruzione in un Paese con minore competitività e maggiori consumi per il superfluo
In Italia la relazione annuale di Bankitalia conferma che i consumi della popolazione, negli ultimi anni, sono diversi: "meglio un telefonino che un paio di scarpe. meglio uno schermo al plasma che un libro". Una nota Ansa afferma che la cultura passa in secondo ordine, insomma gli italiani spendono più nell'elettronica di consumo che nella loro formazione, nel loro aggiornamento, magari cercano anche di diminuire le spese per la scuola dei propri figli.
Curioso. Sono passati pochissimi giorni da quando Emma Marcegaglia ha affermato che "é l'istruzione l'aspetto prioritario che Confindustria chiede al Governo per modernizzare il Paese e renderlo piu' competitivo". La scorsa settimana Pietro Varaldo, direttore generale dell'area Servizi Innovativi e Tecnologici di Confindustria, ha evidenziato un gap notevole rispetto del Paese all'Europa: "per ogni punto di Pil, quello italiano contiene il 20% in meno di innovazione, istruzione, ricerca e sviluppo rispetto agli altri Paesi europei".
La formazione é decisiva. Ma costa, e non sempre la gente può permettersi di accedere ai migliori corsi di qualificazione / riqualificazione professionale. Come può svilupparsi la competitività, se non si interviene in fretta nel sostenere la crescita culturale e professionale di chi lavora, e di chi vorrebbe accedere al mondo del lavoro? Possono le imprese aiutare i programmi formativi pubblici, cercando di superare gli stage, spesso, poco qualificanti ed ancor meno caratterizzanti?
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